Quante volte riuscivo a rileggere, riascoltare, riguardare lo stesso libro, canzone o film?
Per lungo tempo avevo creduto che quello fosse uno dei tratti della mia personalità che maggiormente manifestava il modo maniacale in cui si esprimevano i miei momenti di disagio, le mie nevrosi.
E poi avevo letto qualcosa che aveva a che fare con la capacità di rileggere, rivedere, risentire la medesima cosa riuscendo a continuare a apprendere qualcosa di nuovo, di diverso ogni volta. Avevo così avuto modo di riflettere che effettivamente nella mia forma di ripetizione era sempre e comunque attiva una costante ricerca di novità. Era come se avessi bisogno di reiterare per permettermi di osservare da ogni sfaccettatura e con ogni prospettiva possibile le cose che avevo perennemente davanti.
Mi capitava frequentemente di scoprire nel paesaggio che circondava la mia casa o sulla strada percorsa migliaia di volte un dettaglio, di scorgere un nuovo elemento al quale non avevo mai fatto caso. N. mi prendeva in giro per questo, mi diceva nel suo dialetto siculo che: <<vivevo nell’uovo>>; immagino che fosse un modo per dire che la mia esistenza era chiusa in un bozzolo, forse era il suo modo per esprimere che pensava vivessi nella bambagia.
Non avevo mai vissuto nella bambagia, anzi, le crudeltà della vita le avevo conosciute fin dalla giovane età, ma l’idea di essermi rinchiusa in un bozzolo per cercare in tutti i modi di non vedere le brutture, le storture, l’ignominia era qualcosa di possibile. Forse avevo cercato di rendere il mio un mondo ovattato, in modo che il dolore, la tristezza, la sofferenza non potessero toccarmi troppo.
Probabilmente era stato così, per lungo tempo avevo tentato in molti modi di isolarmi, di non avere troppi contatti col mondo: con la realtà nuda e cruda. E forse per lo stesso motivo continuavo a ricercare sicurezza nella ripetizione.
Nelle prime fasi dello sviluppo i bambini ricercano a ogni costo la reiterazione; a chi non è capitato che un bimbo chiedesse: <<ancora>>, <<di nuovo>>? Ultimamente mia nipote aveva cambiato il tono della voce e il modo in cui pronunciava il fatidico <<ancoa>> quando un gioco, un’idea, un racconto le piaceva; lo avevamo tristemente commentato con mia cognata un pomeriggio durante le ultime festività natalizie. Ma non aveva ancora smesso di chiedere la ripetizione.
La ripetizione è fonte di certezza; nel mondo infantile il continuo cambiamento dovuto anche allo sviluppo costante viene percepito in maniera amplificata, la mancanza di determinate mappe cognitive non permette di comprendere come mai tutto si modifichi rapidamente e quando la paura assale la richiesta della ripetizione da tranquillità. La replica li fa sentire al sicuro.
E noi, in questo momento storico in cui le fondamenta vacillavano e uno dopo l’altro crollavano i punti di riferimento e non avevamo quasi più niente a cui aggrapparci come e dove potevamo ricercare sicurezza e conforto?
La tendenza a riproporre ogni volta in maniera identica le stesse azioni o le stesse parole può essere una strategia per riempire il vuoto terrificante che ci affligge. Illusoriamente cerchiamo di capire tutto e crediamo che il nostro operato sia indispensabile per noi stessi o per qualcun’altro e che ogni cosa dipenda da ciò che quotidianamente compiamo, ma gli avvenimenti sono fuori da qualsiasi tipo di controllo e accadono aldilà del nostro volere.
Siamo attori e spettatori nostro malgrado di un momento epocale. Ma ricordare che questo tempo mentre distrugge, divide e toglie, può anche creare, donare e unire è fondamentale. Ripeterci che ogni cosa può essere vista da diverse angolature può essere di non poca consolazione e sapere che un dubbio soverchiante è un problema, ma che il dubbio è sempre indice di una persona intelligente può fare la differenza.
Nel vocale che L. mi aveva inviato quel pomeriggio aveva espresso proprio questo concetto: mi raccontava della sua ferma volontà di intravedere in quello che stava accadendo un’opportunità; gli permetteva di avere tempo per portare avanti una sua passione e questo lo riempiva di una gioia che riuscivo a percepire anche attraverso il filtro del telefono.