Dopo tanto tempo avevo rivissuto il vero senso della domenica! Il giorno del riposo, il giorno in cui si può fare con calma, il giorno che puoi decidere come vivere e goderne poiché nulla è veramente dovuto.
E come se ciò non bastasse, era il giorno libero dalla dieta.
Mi ero svegliata tardi e alzata ancor più tardi, a colazione avevo gradito ogni singolo boccone, avevo mangiato il pane e le noci cibi che da circa sei mesi assumevo con moderazione, anzi che mangiavo veramente di rado. E poi per pranzo avevo cucinato uno di miei piatti preferiti: pasta e patate!
Alla fine di quella domenica mi sentivo pienamente soddisfatta sotto ogni punto di vista.
Durante la colazione mentre gustavo lentamente le varie delizie che avevo disposto sul tavolo, ero immersa nella lettura dell’ultimo romanzo che avevo iniziato; ero arrivata al punto in cui il protagonista della storia durante il suo viaggio si ferma a Roma. Mentre scorrevo le pagine della descrizione che faceva della città eterna mi accorgevo che lo sguardo del protagonista se poteva essere assimilabile al mio modo di vedere la città per un verso, differiva sostanzialmente per quello che assumeva per me un valore fondante.
“[…] sentivo di avere lo sguardo come drogato: perché in quei cumuli di cose accatastate in modo che le belle e le orribili si riflettessero le une sulle altre, non c’era una direzione, un senso”.
Anche a me girovagare per quella città dove “cumuli di cose” erano assembrate le une alle altre mi faceva vagare lo sguardo come sotto l’effetto di una droga, ma per me quella sensazione era associabile al sogno. Un mondo reale e allo stesso tempo “sognante” dove la direzione e il senso per me erano più che palesi: il significato era quello di poter vivere nella Storia. Un luogo che per me rappresentava più che qualsiasi altro posto della terra la possibilità di “camminare nella storia”. Tutto quello che avevo la possibilità di vedere in quella città mi faceva innamorare, mi rendeva partecipe di una dimensione in cui il tempo e lo spazio si fondevano insieme per dar vita al ricordo. Tutto questo mi dava spesso l’impressione di camminare su una sorta di tappeto volante soprattutto quando mi aggiravo per le vie del centro storico al tramonto nelle serate primaverili.
Quando accompagnavo bambini e ragazzini in visita guidata ai siti archeologici e musei di Roma spesso mi capitava di accennare all’etimo della parola monumento, deriva dal latino e significa ricordo. Taluni di loro rimanevano affascinati dall’idea che per lasciare una testimonianza, un ricordo appunto del momento in cui si vive, si potesse costruire un monumento.
Affascinava anche me l’idea che ciascun monumento rappresentasse uno specifico momento della vita di persone vissute prima di me e che fosse ancora possibile ammirarne il loro passaggio in questa città definita da molti artisti del passato un “museo a cielo aperto”.
Amavo Roma, l’avevo amata da sempre e potevo continuare ad amarla perché vivendo lontana potevo godere della sua bellezza senza doverne vivere più i disagi e le storture.