Le relazioni umane sono spesso incomprensibili perché rappresentano l’incontro di mondi differenti.
Ogni individuo è portatore del proprio bagaglio di esperienze, di sensazioni e percezioni che si sono trasformate nel corso della vita in modalità di rappresentazione del mondo circostante.
Non si può prescindere dalla storia di ciascun individuo e questo comporta una delle grandi difficoltà e problematicità delle relazioni. Il nodo cruciale dell’incontro con l’altro ha come questione inscindibile l’aspettativa che si riversa sull’altro; ma cos’è un’aspettativa?
Aspettativa, dal latino expettare, aspettare, composto di ex, fuori e spectare, guardare, con cambio di suffisso. E’ quindi un guardare fuori, ma non implica nessuna certezza di quello che apparirà in quel fuori, né può avere pretesa di presunta certezza.
Accade spesso, tuttavia, immaginare che l’altro si comporti, faccia, dica o provi qualcosa di simile o identico rispetto alla propria modalità; ciò implica che ci si aspetti di trovare, la fuori, una copia identica di sé stessi. Tutto questo purtroppo, ma forse per fortuna, è praticamente impossibile. Le ricerche anche sui gemelli omozigoti hanno dimostrato che non può esistere una identica rappresentazione del mondo anche per individui che sono uniti da un’esperienza che all’apparenza appare analoga. Le neuroscienze sempre più dimostrano l’incapacità di un soggetto di poter esperire in maniera identica a qualsiasi altro individuo.
Tutto quello che viene percepito a livello degli organi sensoriali non è una ricostruzione fedele del mondo circostante; già dalla fase embrionale, ma soprattutto dalla nascita in poi ognuno estrae elementi dal mondo esterno, li interpreta e se ne costruisce una rappresentazione. Ciò che viene percepito è sempre il risultato di un’associazione delle informazioni sugli stimoli sensoriali e i ricordi che questi evocano.
Un fiore che gli esseri umani percepiscono come tutto giallo, a un’ape appare giallo, verde e nero. Ma allora come è veramente il mondo? Cosa c’è veramente là fuori? Il mondo è sostanzialmente il risultato di ciò che ciascuno vede e sente, o meglio come ha appreso a costruirlo e immaginarselo.
Difficilmente durante il corso dell’educazione ricevuta, sia in casa che a scuola o nella società, è prevista la possibilità che ciascuno possa avere il diritto di avere idee, opinioni, concetti non comuni. Avere l’adire di essere “diversi” non è quasi previsto storicamente, soprattutto nella società omologanti. Infatti, i cosiddetti geni rimangono incompresi e spesso vengono compresi in tempi successivi; questo perché oltre ad avere il coraggio di portare avanti le loro tesi sanno anche guardare oltre quello che la società propone.
La negazione di potersi percepire “diversi” ha un forte impatto sulle relazioni che si instaurano con l’altro; soprattutto se si tratta di legami intimi. L’idea di base di poter essere tutti uguali e che il mondo intorno sia qualcosa di oggettivo, o che geneticamente si sia predisposti a fare una cosa piuttosto che un’altra è strettamente interconnessa con l’aspettativa che si ha dell’altro.
Fin da bambini le aspettative genitoriali, parentali o scolastiche iniziano a ledere la personale capacità di poter essere, voler essere o voler fare qualcosa di diverso da quello che gli altri intorno pensano o si aspettano. Crescendo in tali meccanismi risulta quasi impossibile non rimanere rinchiusi in un mondo di aspettative che da adulti vengono poi sistematicamente riversate sugli altri. Si fa fatica a immaginare che l’altro possa avere pensieri, idee e modi di fare che non siano quelli propri, che non si riconoscono e che appaiono a volte inconcepibili perché modificano la propria rappresentazione del mondo, o ancor peggio, feriscono o disconfermano.
La rappresentazione del mondo, le certezze, le idee, i pensieri che ciascuno si costruisce durante il corso dell’esistenza si accresce continuamente, ma in genere la prima esperienza di un qualsiasi stimolo rimane ancorata alla prima volta che se ne è entrati in contatto e alla quella singola percezione.
La buona notizia è che questa rappresentazione, questa mappa, può essere modificata durante il corso dell’esperienza fino all’ultimo giorno di vita! La cattiva notizia è che per farlo bisogna fare un grosso lavoro di decostruzione e ricostruzione che non esula dall’affrontare il senso della perdita e il dolore ad esso connesso. Poiché sentirsi diversi implica come conseguenza fondamentale sentirsi anche soli, qualcosa che spaventa e terrorizza sin dai primi istante di vita, gli esseri umani sono restii al cambiamento. Nonostante il cambiamento sia insito in ciascun individuo e nel mondo circostante la fatica ad accogliere il mutamento non è mai indifferente e inconsciamente si tende a reiterare quella rappresentazione del mondo che spesso è ancorata a percezioni infantili.
Tutto questo ha un impatto fortissimo sulle relazioni che si instaurano, di qualsiasi genere esse siano: amicali, parentali, professionali e intime.
Riconoscere che la rappresentazione del mondo non è una verità incrollabile implica il crollo delle proprie certezze, del modo in cui si è immaginato e costruito il proprio mondo personale e le persone di cui ci si è circondati. Implica soprattutto la ricostruzione delle relazioni preesistenti. Tutto questo non è affatto semplice e prevede in primis che anche l’altro sia disponibile a un cambiamento di prospettiva.
La rappresentazione del proprio mondo deve necessariamente conciliare con l’esistenza di rappresentazioni di mondi differenti, i mondi dell’altro con i quali si entra necessariamente in contatto. Non tutte le rappresentazioni risultano gradevoli, ma si ha sempre la possibilità di scegliere, di decidere con quali mappe si possono trovare punti di unione comuni per scoprire insieme nuovi territori sconosciuti.
A questo servono le relazioni!