Mi ero svegliata prestissimo e alzata quasi subito; durante la colazione avevo letto qualche pagina del romanzo che avevo abbandonato da qualche giorno. Quel libro che possedevo da anni avevo provato a leggerlo già due volte e puntualmente lo avevo accantonato. Qualche settimana prima allorché avevo deciso di provarci nuovamente le prime pagine mi avevano interessato così tanto che mi ero chiesta come fosse stato possibile averlo interrotto. Ero arrivata quasi oltre la metà, ma il finale del primo capitolo era noioso, la trovavo arzigogolato e ridondante rispetto al fluire della storia che invece mi aveva tanto appassionato. Quella mattina mi ero quasi obbligata a finire le poche pagine del capitolo e infatti appena iniziato il capitolo successivo il trasporto non solo per la storia in se, ma anche per la modalità di scrittura, era riaffiorata e non volevo smettere.
Già pochi istanti dopo il risveglio il mio pensiero era stato trascinato nella narrazione di uno di miei racconti, mi era venuta voglia di scrivere, non il diario, che era diventata un’abitudine e dove comunque la cosa fondamentale era la mia esperienza reale del trascorrere dei giorni, ma di dare forma a quel racconto che da giorni mi era quasi materializzato nella mente. Da oltre due anni mi dedicavo alla scrittura e avevo realizzato tre romanzi: quegli scritti rimanevano sul mio computer, non sapevo cosa ne avrei fatto o a cosa mi sarebbero serviti, non avevo velleità di essere pubblicata a meno che non avessi potuto raccoglierne qualche frutto. Per me scrivere era diventata un’abitudine e una gioia, un modo per sentirmi realizzata.
Mentre mi facevo la doccia cercavo di decidere a cosa sarebbe stato maggiormente opportuno dedicarmi. Il giorno prima avevo deciso che sarei andata a fare la spesa, ma più mi preparavo per uscire più sentivo che invece avrei voluto rimanere a leggere o a scrivere. Sapevo bene che se avessi iniziato con una di quelle due attività il pomeriggio sarebbe stato complesso interrompere per tenere la mia lezione.
Quel fine settimana dovevo lavorare, avevo due lezioni da tenere online per gli allievi del corso di counseling, una per il primo anno e una per il terzo. Fare lezione significava connettermi con la realtà e quindi se mi immergevo nel “mio magico mondo” attraverso la lettura o la scrittura uscirne e relazionarmi all’esterno sarebbe stato più complesso.
Ma dopo essermi vestita non ero riuscita a resistere e mi ero immersa nella dimensione che maggiormente mi appagava. Una sorta di attrazione alla quale non avevo voluto resistere, avevo lasciato i piatti della sera prima e della colazione nell’acquaio, il bagno in disordine e mi ero lasciata trasportare in quella dimensione dove per me lo spazio e il tempo smettono di esistere.
Fortunatamente la lezione del pomeriggio era slittata alle quattro e mezza, avevo l’intera mattinata a disposizione e ne avevo usufruito fino a dopo pranzo; con una gioia infantile fin oltre le due del pomeriggio avevo prima scritto e poi tutto d’un fiato letto tutto il secondo capitolo del mio romanzo!
Ero talmente soddisfatta e durante la lezione avevo provato un’ulteriore felicità: insegnare mi era sempre piaciuto moltissimo e i complimenti che mi venivano rinnovati ogni volta mi confermavano che la passione era fondamentale per riuscire a trasmettere la conoscenza.
Tutto quello che avevo fatto in quella giornata che era iniziata con una grande indecisione che mi avrebbe potuto spingere a non seguire totalmente il mio istinto, mi dimostrava ancora una volta che se mi ascoltavo totalmente tutto andava per il meglio.
E infatti, alla fine del pomeriggio ero riuscita perfino a andare a fare la spesa.