“Nessuno sa cosa siano” è il titolo della poesia di Francisca Aguirre che racconta di qualcosa che non siamo in grado di sapere. Quello che non riusciamo a capire con la nostra parte cognitiva spesso inquieta e destabilizza. E anche se sappiamo che non tutto può essere conosciuto o conoscibile e che questa bella notizia dovrebbe tranquillizzarci, non sempre funziona. Spesso non riusciamo a essere sereni quando la nebbia, la confusione, il magone o il senso di vuoto ci assalgono, allora, forse possono venirci in aiuto i versi: “illuminano senza luce, cantano senza musica. Dio mio, cantano, come cantano”. Ci può aiutare avere fiducia che solo lasciandoci inondare da quella musica che non possiamo capire, ma che esiste e che riusciamo a percepire intimamente, prima o poi la nebbia si diraderà e riusciremo nuovamente a ritrovare la quiete.
Nessuno sa cosa siano
Scendono, attraversando il firmamento,
vengono senza essere chiamati.
Nessuno sa cosa siano né a che luogo appartengano.
Discendono, magici e stranieri,
illuminano senza luce, cantano senza musica.
Giungono, definitivamente giungono;
ci invadono
e accade qualcosa che non comprendiamo
che ci brucia senza fuoco.
Da dove non sappiamo, ritornano.
Portano al loro apparire, nel loro tempo inopportuno,
l’inquietudine profonda dell’incerto.
Non riscaldano né gelano,
solo inquietano. E profumano
come la luna sul mare. Cantano
come il colore vibrante dei fiori.
Nessuno sa cosa siano, né a che luogo appartengano,
però il sangue accelera,
la memoria rabbrividisce come un naufrago.
Scendono, attraversando il firmamento,
vengono fuori dall’abisso e dalla nostalgia,
illuminano senza luce, cantano senza musica.
Dio mio, cantano, come cantano.
Nadie sabe qué son
Bajan, atravesando el firmamento,
vienen sin ser llamados.
Nadie sabe qué son ni a dónde pertenecen.
Descienden, mágicos y ajenos,
iluminan sin luz, cantan sin música.
Llegan, definitivamente llegan;
nos invaden
y algo que no entendemos sobreviene
quemándonos sin fuego.
De donde no sabemos, vuelven.
Traen en su aparecer, en su deshora,
la desazón profunda de lo incierto.
No calientan ni hielan,
sólo inquietan. Y huelen
como la luna sobre el mar. Cantan
como el color vibrante de las flores.
Nadie sabe qué son ni a dónde pertenecen,
pero la sangre se acelera,
la memoria tirita como un náufrago.
Bajan, atravesando el firmamento,
suben desde el abismo y la nostalgia,
iluminan sin luz, cantan sin música.
Dios mío, cantan, cómo cantan.