Non saprei dire se il primo Canto dell’Inferno di Dante possa essere considerata una poesia tout court, ma esprime bene il periodo che sto attraversando. Al contrario dei molti che durante la quarantena stavano poco bene, il mio malessere ha iniziato a manifestarsi dopo; dall’inizio della seconda fase circa. Poiché mi trovo proprio in un’età che potrebbe essere considerata la metà dell’esistenza, niente più delle prime terzine esprimono magnificamente il mio sentire.
Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.
Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura!
Tant’è amara che poco è più morte;
ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai,
dirò de l’altre cose ch’i’ v’ ho scorte.
Io non so ben ridir com’i’ v’intrai,
tant’era pien di sonno a quel punto
che la verace via abbandonai.
Non so quando riuscirò a raggiungere il piè del colle e allo sconforto sopraggiungerà la visione di qualcuno o qualcosa che mi indichi la strada in modo da ” muovermi e tenergli dietro”. Ma la certezza che arrivi quel momento si affianca alla speranza.
Ma poi ch’i’ fui al piè d’un colle giunto,
là dove terminava quella valle
che m’avea di paura il cor compunto,
guardai in alto e vidi le sue spalle
vestite già de’ raggi del pianeta
che mena dritto altrui per ogne calle.
Allor fu la paura un poco queta,
che nel lago del cor m’era durata
la notte ch’i’ passai con tanta pieta.
[…]
Allor si mosse, e io li tenni dietro.