Ero andata a letto più tardi rispetto al solito, il lavoro sul sito mi aveva galvanizzato e mi ero attardata per concluderlo, forse proprio la mattina dopo sarebbe stato finalmente online.
Forse a causa di quella notizia che aspettavo da tanto o forse per il troppo lavoro al computer, il fatto era che una volta a letto ero esagitata e non sembrava che sarei riuscita a prendere sonno. Tanto che dopo lungo tempo a rigirarmi tra le lenzuola mi ero decisa a riaccendere la luce e fare qualcosa.
C’era stato un tempo della mia vita in cui andavo a letto tardissimo; quel tempo si era replicato ciclicamente, dagli anni universitari fino a qualche anno prima ogni qualvolta non avessi l’obbligo di dovermi svegliare presto al mattino. Quel tempo però era stato brutalmente interrotto quando a causa di disturbi del sonno di cui avevo iniziato a soffrire la naturopata mi aveva consigliato di prendere l’abitudine di andare a letto massimo entro le ventitré in modo da sincronizzare meglio il mio corpo ai ritmi circadiani.
Era stato un enorme sforzo per me abituarmi alla modalità di coricarmi presto, rimanere sveglia fino a notte fonda mi piaceva moltissimo. Il mio amore per la solitudine e il silenzio sicuramente influivano su quel piacere, di notte si ha sicuramente la possibilità di godere di un silenzio maggiore e l’idea di essere tra i pochi svegli mi dava gradevoli sensazioni. Da quando abitavo in campagna il silenzio della notte era ancora più intenso, non c’era il traffico della strada, i rumori delle sirene delle ambulanze, il vociare dei passanti o gli strilli a tarda notte come mi era capitato spesso di udire quando vivevo nella metropoli. Le finestre senza luci artificiali, il buio della notte intorno alla rocca e al campanile della chiesa, il luccichio delle stelle e della luna fuori dalla portafinestra della mia camera mi procuravano una sorta di brivido che vibrava dentro di me e mi procurava una contentezza inspiegabile.
Anche quando ero giovane il silenzio e la pace della notte intorno mi permettevano di concentrarmi in maniera totale e assoluta e il mio studio ne beneficiava proficuamente.
Quella notte in cui appariva quasi chiaramente la lontana speranza di prendere sonno in tempi brevi dal letto avevo scrutato fuori dalla finestra la notte senza stelle e il buio che avvolgeva tutto. Poi con la piccola abat jour accesa, avevo continuato a guardarmi intorno e quello che vedevo mi piaceva, mi riempiva di quiete e serenità: gli oggetti, gli arredi, i souvenir e i regali erano presenze della mia realtà; disposti ordinatamente l’uno accanto a l’altro come piccoli memorabilia rappresentavano ricordi di un’intera esistenza.