Alle ore 12.10 il ragazzo al quale avevo affidato la costruzione del sito mi aveva scritto un messaggio inviandomi un link. Quando avevo cliccato la pagina si era aperta e l’immagine di una montagna sul fondo del “marchio” che avevo scelto per definirmi, Stefania Gangemi Counselor, mi si era parato davanti. Il tempo si era fermato e non so per quanto tempo avevo continuato a guardare quello schermo, immobile. Poi A. mi aveva chiamato per avere indicazioni su come presentare il sito in manutenzione. La frase che avevo scelto aveva a che fare con un’attesa specifica, richiamava alla pubblicazione del diario che avevo deciso di tenere dal momento in cui era iniziata la quarantena.
Quando avevo ricontrollato sul web il mio dominio, solo allora, all’immobilità del primo momento si era sostituita un’emozione di gioia che sentivo salire dallo stomaco e che aveva modificato l’espressione del mio volto in un sorriso.
Subito dopo, avevo iniziato a diffondere il link su whatapp a gran parte dei miei amici, volevo condividere quel momento; probabilmente perché come dice Italo Svevo: <<le cose che nessuno sa e che non lasciano traccia, non esistono>>. Ma anche perché probabilmente mi aspettavo qualcosa. Forse un riconoscimento, un augurio, un complimento? Pochi erano stati i riscontri che mi avevano intimamente soddisfatto e tra questi i messaggi di uno di quei miei amici che sentivo di rado e col quale da sempre avevo avuto un legame speciale e profondo nonostante la distanza e la scarsa frequentazione. Fare i conti con le aspettative era qualcosa che facevo da tempo, ma rimaneva una delle cose che mi riusciva non troppo bene; e infatti, proprio da chi non mi aspettavo erano arrivate le parole più belle!
Mentre scrivevo la newsletter che avevo deciso di inviare mia alla mailing list, mi ero ricordata della nascita della figlia di una mia amica subito dopo l’inizio della quarantena. Le parole che quasi in automatico emergevano sulla pagina bianca mi stupivano: sembravano arrivare da un tempo o un luogo lontano, dove la consapevolezza dell’esistenza era stata offuscata dalle paure che stavano prendendo il sopravvento a causa della brutta esperienza che tutti eravamo costretti a affrontare. La vita continuava, nonostante tutto.
Questa banalità era forse l’unico insegnamento che era possibile apprendere. Non si trattava certo di un’epifania di chissà quale portata; eppure, da quando l’isolamento era diventato la quotidianità le parole morte, paura, guerra, malattia, epidemia erano diventate la routine e il dato di fatto che nulla era cambiato a livello esistenziale, dove quelle parole erano all’ordine del giorno in moltissimi dei paesi della terra, sembrava quasi incredibile!
In aggiunta a quel nuovo modo di riflettere su quello che stava accadendo, l’idea che a brevissimo il mio diario personale della quarantena sarebbe diventato pubblico mi creava una sorta di destabilizzazione, emozioni e timori si mescolavano in un miscuglio indecifrabile. #La vita ai tempi del CoViD sarebbe potuto diventare un appuntamento quotidiano con me, con le mie riflessioni, con le mie paure, con i miei momenti creativi, con le gioie per le piccole cose che stavo imparando a considerare e con tanto altro.
Un nuovo modo per riuscire a “stare in contatto” anche senza toccarsi.