Come creare una relazione in un mondo che sembra rinchiuso in un tempo e uno spazio non raggiungibili?
Può un professionista come il counselor che non ha determinate conoscenze riuscire a entrare in contatto col mondo della patologia conclamata? Possono essere ricercate forme di espressione emotiva in una dinamica di gruppo di un centro diurno? Possono i disabili cognitivi di vari livelli riuscire a percepire lo spazio e il tempo dell’altro per trovare un momento di comunione che dà vita a qualcosa? Come attraverso l’empatia e l’arte, in qualsiasi forma possibile, si possono raggiungere livelli di relazione emotivamente intensi? Può un counselor usare l’arte come strumento per riuscire a instaurare la relazione?
Questi sono gli interrogativi di partenza che hanno dato spunto a una mia esperienza; l’esperienza di un percorso, di una condivisione, della nascita di una relazione, una relazione di gruppo.
Attraverso un progetto di arte terapia si ha la possibilità di interagire con la disabilità in modo da liberare le emozioni e condividerle in maniera viva e diretta; un momento relazionale in cui non esiste più la disabilità cognitiva, fisica, sociale, mentale, ma la pura espressione empatica. Chi frequenta i territori dell’empatia e cerca di praticarli in maniera più o meno costante, si accorge di vivere in una sorta di mondo sconosciuto, alieno, che oso definire addirittura magico, ma è in quel mondo che la relazione si nutre, che prende sostanza e cresce. Ho sperimentato sulla mia pelle la semplicità del fare artistico insieme a soggetti disabili con differenti patologie come forte momento relazionale. L’arte infatti permette uno stare che prevede una modalità simbolica e iconica con qualsiasi interlocutore; ma forse, laddove il giudizio, nel senso di mente razionale già ingabbiata in schemi precostituiti, è assente, diventa un gioco molto più libero che porta a espressioni alte di un sentire non comune.
Cosa significa stare in relazione? Significa impegno, amore, intimità, condivisione, pazienza ma soprattutto significa a mio avviso nessuna aspettativa.
Partiamo dall’inizio, dal momento dell’ideazione del progetto: qual era la mia aspettativa? Non lo sapevo; per la prima volta mi relazionavo con la disabilità che fino a quel momento mi aveva messo a disagio e che alcune volte mi faceva addirittura paura! Ma oggi posso comprendere cosa ho imparato, perché ogni relazione lascia qualcosa, arricchisce, fa crescere, aiuta; ho appreso che solo attraverso il mio essere congruente, quindi consapevole del disagio, della paura, dell’incomprensione, potevo avere la possibilità di raggiungere il mio obiettivo. L’obiettivo era l’esperimento stesso, che osservavo con la certezza di poter riuscire a creare il gruppo e che questo sarebbe riuscito a entrare in contatto. Per quanto tempo? Come? Le modalità le ho imparate dall’esperimento stesso.
La mia esperienza mi ha portato a verificare che l’arte sprigiona, ma che bisogna avere pazienza e costanza, cogliere gli spunti che arrivano in maniere non convenzionali, essere sempre attenti all’altro, soprattutto attenti a segni, a messaggi non convenzionali, essere attenti agli “insigth” (alle intuizioni), quindi attento a te, e non ultimo confrontarti costantemente con un supervisore.
L’arte terapia usata con la disabilità mi ha fatto sperimentare come sia possibile una dinamica di gruppo relazionale e che questa non è un mondo praticabile solo dagli psicoterapeuti, ma che anche il counseling si può ritagliare un ambito di intervento anche confrontandosi con la patologia, sempre a patto che quell’ambito di intervento sia mirato e abbia tempistiche e modalità consone alle competenze della professione.
Ho imparato che attraverso le espressioni empatiche si riesce ad arrivare a costruire qualcosa, e quel qualcosa, come vogliamo definirlo se non relazione? Ho imparato che l’empatia crea contatto con qualsiasi essere vivente, di qualsiasi età, cultura, livello cognitivo e sociale. Perché dove c’è counseling si crea relazione e specificatamente: relazione empatica.