Le cinque fasi del dolore sono ormai cosa nota: rifiuto, rabbia, depressione, patteggiamento, accettazione.
Ogni volta che una fase sembra essere conclusa, ogni volta che il dolore sembra essere superato, inaspettatamente colpisce a tradimento il suo ritorno! E ogni volta quel dolore lascia senza fiato, travolge.
L’unico consiglio che può essere utile è lasciare che esso ci avvolga, accoglierlo per poi lasciarlo andare. Ma questo consiglio è quasi sempre impossibile da mettere in atto e quando ci riusciamo vuol dire che siamo già arrivati all’ultima fase, l’abbiamo già superato.
Il dolore quando arriva ci trova impreparati, potrebbe giungere in una fase non particolarmente serena e vitale della nostra esistenza, in cui abbiamo anche già altre ansie e preoccupazioni e non per questo siamo più predisposti a guardarlo e riconoscerlo!
L’educazione delirante della società in cui cresciamo ci trasmette messaggi incongruenti rispetto alle emozioni; il dolore è associato una delle emozioni primordiali e riconoscibile in tutte le culture e popoli del mondo: la tristezza.
In genere fin da piccoli siamo abituati a sentirci dire, <<non essere triste>>, o ancora peggio <<non piangere>> o in un crescendo incomprensibile <<perché piangi?>>. Le emozioni non si possono spiegare, non hanno a che fare con la parte del cervello legata alla cognizione, ma con la parte del cervello più antica: l’amigdala. Gli insegnamenti che quindi riceviamo non fanno altro che tentare di comprimere qualcosa che riguarda un sentire e non un capire.
Incredibilmente e banalmente, il dolore va vissuto. Va guardato bene, va riconosciuto, senza questo passaggio fondamentale non si può arrivare al suo “superamento”. Capita spesso di confondere il superamento del dolore con una negazione dell’evento che lo ha causato o ancora con la possibilità di dimenticare l’evento stesso. Non si tratta di dimenticare, anzi più si è lucidi nel ricordo dell’evento minore sarà il trauma che potrebbe scaturirne.
Quando si parla di superamento del dolore si intende l’inclusione di ciò che è accaduto, l’evento, e del dolore che ne è derivato all’interno della nostra realtà, della nostra esperienza di vita. Non si dimentica niente, non si deve dimenticare, si deve invece confinare, ritagliare uno spazio per quel dolore e per quell’evento all’interno dei margini dell’intera esistenza.
Non si può immaginare di vivere una vita intera senza provare il dolore e per quanto questa idea sia connaturata nella nostra mente ugualmente si tenta in ogni modo di poter svicolare, di trovare scorciatoie o possibili strade per evitare di percepire in toto l’emozione che sta alla base del dolore.
La causa principe del dolore riguarda sempre una perdita: che si tratti di una separazione, di una morte, di un trasloco, di un trasferimento, di un semplice cambiamento il senso di perdita ci pervade.
È insita nella parola stessa, perdita, qualcosa che ricorda un perire, una morte e questo amplifica la difficoltà di poter affrontare il perdere in maniera poco penosa. Ma se riflettiamo in maniera consapevole, evitando di pensare che la causa del dolore possa essere qualcosa o qualcuno in particolare, non possiamo che ritenere il dolore qualcosa di inevitabile.
Come possiamo prescindere dall’inevitabile? Non possiamo, infatti, e proprio per questo motivo non rimane altro che accoglierlo nel nostro orizzonte. Quell’accettazione non deve essere confusa con la rassegnazione. Non bisogna rassegnarsi al dolore e consegnarsi a esso, forse sarebbe meglio pensare di perdersi in quel dolore, perché quando ci perdiamo possiamo essere spaventati, confusi, tristi, ma alla fine ritroviamo il bandolo della matassa e ci ritroviamo.
Ecco forse il miglior modo per affrontare il dolore, farsi investire da lui, farsi invadere, percepirlo con ogni nostra cellula, in modo che il caos ci avvolga finché da quel caos, da quel miscuglio di emozioni, sensazioni, sentimenti non riemerga la nostra vitalità. Perché la vitalità, la voglia di vivere, di continuare a esperire è inevitabile, tanto quanto lo è il dolore. È insita negli esseri umani ritornare alla vita, quel momento sarà diverso per ciascuno e differente per ogni evento, ma possibile per ciascuno e sempre. Quel momento arriva e non deve arrivare prima perché si debba o si senta un obbligo morale nei confronti di noi stessi o di qualcun altro. Dobbiamo avere fiducia che quel momento arriverà, perché è nell’ordine naturale delle cose.
Affrontare una perdita autonomamente è possibile, ma se da quella perdita, da quel dolore non si riesce a ritrovare la via per una esistenza piena, per ritrovare la dimensione vitale, /come-posso-aiutarti#incontriindividuali.