Pareva che stessimo per tornare a una pseudo normalità, mancavano solo due giorni e poi l’isolamento vero e proprio, la quarantena che ci era stata imposta avrebbe avuto termine.
Avevo deciso che la divulgazione del diario si sarebbe interrotta, non sapevo se avrei smesso di tenerlo, ma sicuramente non lo avrei più reso pubblico. Mi cominciava a pesare quell’impegno che avevo preso da quasi settanta giorni, impiegavo oltre due ore al dì per riuscire a scrivere, correggere, scegliere la foto e verificare che sul sito tutto fosse a posto. Mi piaceva scrivere, ma non lo avevo mai considerato un lavoro.
Per me scrivere nasceva da un’urgenza improvvisa: sentivo, provavo qualcosa di forte, intenso, profondo al quale potevo dare forma o attraverso la scrittura oppure attraverso un fare che nel corso degli ultimi anni aveva prodotto disegni, dipinti, piccole sculture e altri tipi di oggetti che rappresentavano per me il ricordo di forti emozioni.
Nella scrittura avevo trovato un modo per esprimere in maniera più razionale la mia vena creativa, l’esperienza del dare forma, dar vita a qualcosa. Infatti, la creatività e l’art-therapy che proponevo anche nei miei workshop o ai miei clienti, è tra le espressioni più importanti dell’esistenza dell’essere umano. Creare è istintivo per gli uomini, non è solo attraverso la procreazione che riusciamo a manifestare la nostra presenza sul pianeta, la nostra impronta, il nostro passaggio sulla terra.
Creare è strettamente legato al giocare.
Durante le fasi dello sviluppo il bambino apprende attraverso il gioco; il gioco ha una valenza simbolica fortissima poiché permette al fanciullo di costruire significati. Inoltre, giocando con gli altri ha l’opportunità di imparare le regole del vivere comune e in questo modo il bambino inizia a apprendere di non essere il centro del mondo. La sua fase egocentrica si attenua gradualmente allorché inizia a comprendere l’esistenza dell’altro nel suo orizzonte.
La maggior parte delle opportunità di long life learning si basano su giochi di ruolo e simulazioni, esperienze dirette che permettono di assimilare la teoria in maniera immediata. Nella strutturazione dell’educazione a quelle che vengono definite “competenze trasversali” il gioco è uno strumento necessario, anzi indispensabile.
Purtroppo spesso nella nostra cultura la fase del gioco viene interrotta a un certo punto dell’esistenza; non so come e quando sia diventato luogo comune che da “grandi” non si possa giocare. Il gioco tra gli adulti è spesso mal visto, criticato, qualcosa che da sopprimere. Purtroppo, talvolta si trasforma in una malattia, in dannoso e deleterio per la crescita perché viene relegato a un ambito di sfida o dove rifugiarsi per dimenticare la propria tristezza e spesso questo tipo di gioco diventa dipendenza. Si tratta di qualcosa che chiamiamo gioco, ma che della valenza del gioco vero e proprio non ha nulla.
Il gioco è apprendimento, socialità, divertimento, rischio; attraverso di esso si impara a perdere, a fare squadra e a sperimentare emozioni che a livello conscio e razionale spesso ci neghiamo.
Per me scrivere è un gioco, mi piace giocare con le parole, con le associazioni, con le similitudini, con gli acrostici e gli aforismi. È il mio modo per sperimentare a livello profondo sensazioni, percezioni, sentimenti che spesso faccio fatica a condividere con gli altri.