La mia vita sta assumendo sempre più la connotazione che volevo darle da qualche anno a questa parte. Si tratta di un tipo di vita completamente diversa, direi inversa, rispetto a quella che ho vissuto fino a pochi mesi fa. Senza omettere particolari, come dice la poesia di Giovanni Giudici, posso sicuramente affermare che è fatta di routine, abitudini, per certi versi certezze. La certezza del lavoro, della mia passeggiata prima di pranzo con Ivy, la certezza del fine settimana libero, la certezza degli orari che scandiscono la giornata. Ma mentre vedo scorrere tutte queste certezze nelle mia quotidianità, mi accorgo che l’essenza di come affronto quelle giornate è ogni volta differente; che “l’infame, l’illustre” e il “sublime” si intrecciano e si alternano in costante evoluzione. E riscopro ogni volta, che essere me stessa cambia il modo in cui affronto ogni singolo istante.
La vita in versi
Metti in versi la vita, trascrivi
fedelmente, senza tacere
particolare alcuno, l’evidenza dei vivi.
Ma non dimenticare che vedere non è
sapere, né potere, bensì ridicolo
un altro volere essere che te.
Nel sotto e nel soprammondo s’allacciano
complicità di visceri, saettano occhiate
d’accordi. E gli astanti s’affacciano
al limbo delle intermedie balaustre:
applaudono, compiangono entrambi i sensi
del sublime – l’infame, l’illustre.
Inoltre metti in versi che morire
è possibile a tutti più che nascere
e in ogni caso l’essere è più del dire.