Adoro Erri De Luca, mi piace la sua modalità di scrittura. Nei suoi romanzi quasi mai si trova un fluido scorrere del tempo o dello spazio come siamo abituati a pensarlo. Le sue opere mi ricordano come lavora l’inconscio, come lo spazio e il tempo non siano qualcosa di ragionato, razionale o pianificabile. Proprio come nei sogni, l’atmosfera è sempre vaga, ma profondamente viva. E mi piace ancor più il suo lavoro con le parole. Le parole le scompone, le indaga, le modifica, gli da nuovo senso e significato. Nel mio lavoro le parole sono importantissime; il nostro cervello costruisce una sorta di “solchi neurologici” in base alle parole che usiamo. Quelle parole delimitano il nostro spazio concettuale, il modo di vedere le cose: organizzano le nostra mappa mentale. Ma la mappa non è il territorio, come dice il fondatore della semantica Alfred Korzybski. Se vogliamo costruire una nuova mappa dei territori del nostro cervello dobbiamo usare nuove parole. Ecco allora la proposta poetica che viene da uno dei miei autori più amati.
Proposta di modifica
C’è il verbo snaturare, ci dev’essere pure innaturare,
con cui sostituisco il verbo innamorare
perchè succede questo: che risento il corpo,
mi commuove una musica, passa corrente sotto i
polpastrelli,
un odore mi pizzica una lacrima, sudo, arrossisco,
in fondo all’osso sacro scodinzola una coda che s’è
persa.
Mi sono innaturato: è più leale.
M’innaturo di te quando t’abbraccio.