Non riuscivo bene a comprendere il motivo per il quale mi sentivo così stanca!
Da qualche giorno l’allergia aveva ricominciato a farsi sentire e mi aveva colpito particolarmente agli occhi. Fin dal primo mattino il fastidio che provavo mi rendeva difficoltoso portare gli occhiali, con conseguenze che si riflettevano enormemente sulle mie attività quotidiane. Inoltre, già appena sveglia avevo avvertito un diffuso dolore alla cervicale.
Tutto ciò non mi aveva impedito di dedicarmi a quello che mi ero prefissata. E così per tutta la mattina e dal primo pomeriggio avevo proseguito il mio da fare solo con una breve interruzione per pranzare.
A un tratto la spossatezza si era manifestata prepotentemente e non avevo potuto resistere, mi ero sdraiata sul letto.
In quel tardo pomeriggio di primavera la luce entrava dalle finestre di tutta la casa e la irradiava di un’atmosfera che mi riempiva di quiete, mentre mi avvicinavo al letto quella sensazione veniva amplificata dal bianco totale che avvolgeva tutta la zona del riposo. Possedevo copripiumini e lenzuola di vari colori, ma nell’ultimo periodo ogni volta che facevo il cambio sceglievo sistematicamente le parure bianche. Inoltre, adoravo i cuscinoni e la mia casa e il mio letto soprattutto erano cosparsi di enormi cuscini anche questi di colore bianco. Dalla testiera al bordo del letto quel colore troneggiava incontrastato.
Il ricordo delle giornate trascorse con mia madre e mia nonna in giro per negozi per gli acquisti del cosiddetto “corredo”, allorché avevo deciso di andare a vivere da sola, mi era tornato alla mente. Qualche volta mi avevano accompagnato anche delle amiche e rare volte un mio ex e tutti puntualmente mi prendevano in giro e mi incitavano a scegliere altre tonalità. Ma il bianco continuava a predominare per la maggior parte degli oggetti che sceglievo: lenzuola, asciugamani, tende, tovagliette per la colazione, piatti, ceramiche, cuscini, accappatoi fino agli accessori del bagno. Continuavo a ripetere a ciascuno di loro che gli altri colori sarebbero venuti col tempo.
Infatti, chiunque fosse entrato in casa mia già da molti anni a questa parte avrebbe sicuramente detto che il colore predominante della casa fosse il rosso. I colori si erano aggiunti e mescolati nel corso del tempo, come avevo ben immaginato, ma quel bianco rimaneva un sottofondo che armonizzava e dava luce. Aggiungeva discretamente il suo fascino nei dettagli.
In quel tardo pomeriggio sdraiata sul letto e avvolta nella bianchissima copertina che mia nonna – o mia madre, non lo ricordavo nemmeno più – aveva realizzato per il mio lettino da bambina, mi beavo di quel bianco.
Quando ero stata in Egitto avevo scoperto che la parola araba per il bianco significa anche delicato, tenero e buono: la crema che si forma sulla superficie del latte quando viene riscaldato. Quel termine era poi passato nel linguaggio gergale per esprimere qualcosa di meraviglioso o fantastico. Il vocabolo si distingueva completamente dal significato che noi occidentali associamo al bianco, cioè la purezza.
Quella parola che avevo sentivo ripetere in continuazione durante il mio soggiorno aveva esercitato su di me un potere di seduzione fortissimo, una malia, un richiamo che nonostante gli anni rimaneva indelebile della mia memoria. La ripetevo dentro di me, forse in maniera impropria, ogniqualvolta mi sentivo avvolta dal quel bianco che mi faceva provare sensazioni in cui mi sembrava di poter vivere istanti perfetti.