Quella notte un sogno orribile mi aveva svegliato e fatto correre alla finestra, aprirla e respirare l’aria gelida della notte era avvenuto in una sorta di trance che non riuscivo a dominare. Da giorni ripensare al libro di Orwell mi aveva rievocato il momento cruciale della sua tortura, l’istante in cui messo di fronte alla sua più grande fobia egli crolla miseramente. La fobia del protagonista era la stessa mia fobia e quella notte quell’immagine di topo in busta mi aveva spinto fino quasi all’irrazionalità. Che senso aveva aprire la finestra in piena notte, poteva un raptus spingermi a far altro che respirare? L’inquietudine di quei giorni mi trovava sempre più spiazzata e mi costringeva a fare i conti con vecchie angosce che sembravano sedate. Per anni avevo creduto possibile un tracollo economico che ci avrebbe portato alla fame vera, al momento della violenza per la difesa del nostro piccolo orto, un orto non figurato, ma reale, l’unico sostentamento nutrizionale possibile. Poi quell’idea aveva assunto dimensioni remote e avevo ritenuto poco plausibile un collasso così repentino in così pochi anni; sapevo che sarebbe avvenuto, ma avevo smesso di credere che avrei potuto viverlo: sarebbe stato un’orribile eredità che avremmo lasciato ai nostri nipoti.
Adesso quella paura ritornava reale e possibile! Ognuno “gioca” con le proprie paure una mano che non sempre riesce a vincere, spesso, anzi la misera condizione umana si fa sentire più vivida che mai e la nostra finitezza, i nostri limiti e la nostra pochezza emergono da un infinito e lontano passato per farci ritrovare proprio nello stesso luogo che pensavamo di aver abbandonato da tempo. Se da una parte il lavoro che negli ultimi anni avevo fatto su me stessa mi sembrava mi potesse dare strumenti adeguati per rimanere centrata e solida durante le grandi crisi, adesso come un viscido, serpeggiante, sinuoso malevolo intento, il disagio si ritrasformava in paura; in brevi istanti e immobile mi trovavo a riflettere sul non voler minimamente essere testimone di un diffuso malessere e di ulteriore violenza, a tutto ciò avrei preferito mille volte la morte.
Ripensando al mio universo di senso mi chiedevo cosa ci saremmo trovati di fronte alla fine di un momento così buio e oscuro. Come ci avrebbe trovato la fine di tutto? La nostra percezione che fino a ieri poteva contare su alcune certezze, sembrava oggi radicalmente cambiata in maniera così categorica che ogni sguardo, linguaggio, categoria o progetto apparivano futili e implacabilmente inadeguati.