E così rimanevo. E la cosa che sentivo che mi serviva maggiormente era una solitudine completa e totale.
Sembrava assurdo ma in quel periodo questo mio bisogno, che ero da tempo riuscita a soddisfare chiudendo fuori il mondo della porta di casa, non era semplice da realizzare. Era bastata una mezza giornata di cellulare spento per far agitare i miei parenti lontani; inoltre, la mia vicina era passata a “trovarmi”, per chiacchierare fuori dall’uscio a metri di distanza. In condizioni normali non avrei aperto la porta, ma il quel periodo non era permesso non essere presenti!
Incredibilmente, diventava più complesso trovare i miei soliti spazi di solitudine nell’isolamento.
Ma cosa significava veramente la solitudine? Non ricordavo più dove avevo letto che corrispondeva a una sorta di equilibrio e armonia, forza e saldezza. Che colui che assume la solitudine mostra il coraggio di guardare in faccia sé stesso, di riconoscere e accettare come proprio compito quello di “divenire sé stesso”; l’uomo umile che crede nella propria unicità. Un compito che lui e solo lui può realizzare.
Perché se è vero che siamo animali sociali è anche vero che definiamo uno spazio tra noi e l’altro che non è uguale per tutti e non per tutte le occasioni. Spesso nel corso della mia esistenza quello spazio tra me e l’altro era stato fonte di incomprensioni e in alcuni casi mi aveva fatto apparire agli occhi degli altri poco affettiva o poco socievole. Il mio spazio vitale, soprattutto nei momenti di fragilità si espandeva smisuratamente: di frequente, quando piangevo non mi piaceva essere toccata, abbracciata, e questo mio modo di essere veniva mal visto, se non addirittura mal giudicato.
Ecco perché quando attraversavo momenti veramente tristi mi “rinchiudevo” all’interno delle mura domestiche e spegnevo il telefono. Anche parlare non mi piaceva più di tanto quando stavo male.
Ma se per lungo tempo stare sola per me aveva rappresentato un modo per isolarmi, negli ultimi anni sempre più mi accorgevo che nella solitudine e nel silenzio tentavo veramente di scoprire e trovare pienamente me stessa. Come una pianta ha bisogno di acqua per crescere io avevo bisogno di silenzio per espandermi; ma un silenzio quasi totale, un silenzio che potevo trovare solo nella solitudine. Quando nessun brusio di fondo mi poteva distogliere e avevo la possibilità di concentrare l’attenzione sui singoli dettagli di un’immagine, per poi gradualmente allontanarmi per riuscire a ottenere una visione d’insieme.
La solitudine diventava per me uno spazio e un luogo e il silenzio il tempo che ne scandiva i momenti.