Il periodo che stavamo attraversando, quello che stava succedendo, l’esperienza che vivevamo era un evento traumatico a tutti gli effetti. Mi sembrava che non per tutti fosse ben delineato il confine profondo con il quale ci stavamo confrontando, ma l’immagine che ciascuno stava costruendo dentro di sé rispetto a quello che viveva sarebbe stato fondamentale per la propria esistenza futura.
Rispetto ai giorni precedenti connotati da vitalità e operatività già dal mattino avevo iniziato a sentirmi apatica e annoiata. Una sconfortante sensazione di indeterminatezza si era impadronita di me e per tutto il giorno non ero riuscita a fare nulla. Resistevo, non volevo dare spazio a quella forma incongrua di vivere la giornata. Ma nonostante tentassi in ogni modo di migliorare come mi sentivo, mi ero dovuta alzare dal tavolo dove con computer acceso e libro aperto e avevo ripiegato verso il divano. Non riuscivo minimamente a concentrarmi, anche l’idea di provare a fare qualcosa che non implicasse la mente non mi era stato possibile. La scatola conservata da tempo e il materiale per rivestirla erano rimaste posizionate sul tavolo e dopo una ventina di minuti per recuperare colla e materiali vari tutto era stato abbandonato. A niente era valso cimentarsi in quell’opera. Dal divano, dove avevo anche pranzato, mi guardavo intorno in cerca di idee e pensieri per impiegare il tempo.
Ma su quel divano ero rimasta per tutto il giorno senza combinare nient’altro che arrovellarmi su come e cosa poter fare pur di non abbandonarmi a quella sensazione.
Quel divano sembrava diventare l’unico punto di stabilità adesso che tutto vacillava, tremava, che le fondamenta sembravano affondare in zone paludose e tremolanti. L’unico punto in cui quel silenzio e quell’isolamento forzato poteva darmi spazio e accogliere la mia solitudine e quella primavera. Una primavera anch’essa tentennante che altalenava tra gelo, nebbia, freddo e giornate luminose dove i tramonti a tarda sera davano speranza e inondavano tutto di una luce che dava, nonostante tutto, una dimensione di fiducia e gaiezza.
Perché immobile su quel divano senza il potere di riuscire a fare nient’altro che tentare di scacciare quella forma di inedia dalla quale mi sentivo invadere, non riuscivo a non avere la speranza che, dopo, tutto sarebbe stato meglio; perlomeno per me?