Il temporale estivo che mi ha colto all’improvviso qualche giorno fa mi ha fatto ricordare i versi “E piove su i nostri volti silvani, piove su le nostre mani ignude, su i nostri vestimenti leggieri“. Un’altra di quelle poesie delle quali la memoria riporta ai banchi di scuola. Quel giorno avevo indossato un vestito leggero ed era forse una delle poche volte che avevo deciso di non prendere un giacchetto. Mi sono ritrovata in meno di un quarto d’ora in mezzo a una specie di bufera. Con la temperatura che il termometro dell’auto segnalava in diminuzione costante. Fortunatamente in macchina c’era un Kway e un foulard che ho potuto mettermi addosso prima di avventurarmi in mezzo al diluvio dalla macchina all’entrata del palazzo dove avevo un appuntamento. Mentre aspettavo il mio turno ho cercato sul web la poesia. La pioggia del Pineto di Gabriele D’Annunzio. Nonostante la pochissima passione per questo autore ho riletto tutta la poesia e ne ho riscoperto il fascino. Soprattutto gli incipit delle strofe mi hanno colpito: taci, ascolta, odi, piove! L’ascolto della pioggia che apprezzo quando sono a casa,
in macchina su strade poco battute o in mezzo alla natura era in contrasto con quell’acquazzone che mi coglieva impreparata, inaspettatamente in mezzo a palazzi, automobili e folla. Ancora una volta mi veniva confermato come tutto possa essere visto da varie prospettive che dipendono non solo dall’umore di chi osserva, ma dal contesto in cui vengono vissute le
diverse esperienze. Tornando a casa ho sperato di trovare i vicoli bagnati e il circondario odorare di pioggia, ma dalle mie parti non “aveva fatto nemmeno una goccia d’acqua”!
Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove su i pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t’illuse, che oggi m’illude,
o Ermione.
Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitío che dura
e varia nell’aria
secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
nè il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancora, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immersi
noi siam nello spirto
silvestre,
d’arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.
Ascolta, ascolta. L’accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall’umida ombra remota.
Più sordo e più fioco
s’allenta, si spegne.
Sola una nota
ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.
Non s’ode voce del mare.
Or s’ode su tutta la fronda
crosciare
l’argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.
Ascolta.
La figlia dell’aria
è muta; ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell’ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.
Piove su le tue ciglia nere
sìche par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pesca
intatta,
tra le palpebre gli occhi
son come polle tra l’erbe,
i denti negli alveoli
con come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
(e il verde vigor rude
ci allaccia i malleoli
c’intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m’illuse, che oggi t’illude,
o Ermione.