In quelle mattine sguisciare fuori del letto richiedeva uno sforzo immane. Mentre una disdicevole sensazione mi impediva di sollevarmi continuavo a rimandare il momento girandomi e rigirandomi sotto le coperte. La giornata che filtrava dalle finestre si annunciava soleggiata e bellissima e questo contribuiva a amplificare la difficoltà. Avevo resistito il più possibile e alla fine avevo dovuto cedere, la vescica era stata compressa fino all’inverosimile e non ne potevo più.
Mentre sollevavo il piumone con la mano destra avevo avuto l’impressione di aprire una porta. Quel movimento così banale mi risultava faticoso e impegnativo.
Se anche fosse stato associabile all’apertura di un uscio come mai quel gesto che era una specie di consuetudine, magari non proprio in quei giorni – in casa avevo poche porte e l’unica che chiudevo a volte era quella del bagno – mi costava così tanto?
Forse, quell’apertura rappresentava un debutto, un passaggio, un nuovo inizio?
Sicuramente nell’ultima settimana sentivo che qualcosa stava cambiando dentro di me; avevo la netta sensazione che quando quel momento così particolare fosse finito sarebbe coinciso con la mia svolta lavorativa. Non avevo strumenti a supporto di quella sensazione, non riuscivo a comprendere quale meccanismo mi portava a pensare così, e neanche come mai mi fosse venuta in mente quell’idea, ma era come se da ogni singola cellula del mio corpo si propagasse quel pensiero e si innestasse sempre più saldamente dentro di me.
Quella guizzante percezione mi faceva vivere quel momento di ambascia in modo contemplativo. Mi sembrava incredibile poter vivere un’esperienza così devastante senza tristezza. Sapevo che la svolta era dietro l’angolo, che intrapresa quella nuova via sarebbe stato impossibile tornare indietro, ripercorrere la vecchia strada, sapevo che tutto sarebbe stato completamente diverso eppure non mi sentivo triste, angosciata, nostalgica o malinconica. Mi sentivo solo “strana”.
Strano, estraneo, straniero sconosciuto, tutte parole associabili a possibili esperienze che avrebbero potuto incutere spavento, paura e che sicuramente erano la modalità con la quale le avevo affrontate fino a poco tempo prima, se non da sempre. Eppure stavolta no!
Si rendeva inimmaginabile qualsiasi spiegazione; non riuscivo a trovare le parole per poter rendere accessibile alla completa coscienza ciò che mi accadeva.
Ero abbastanza bravina con le parole, le usavo adeguatamente, inoltre, il raziocinio mi aveva connotato per una vita intera e la mia mente lucida e logica mi aveva permesso fino a quel momento di poter esprimere quello che pensavo in maniera più che conveniente e esplicita possibile. Ma adesso esprimere quello che mi succedeva diventava complesso, non riguardava la mia mente soltanto, era un miscuglio di sensazioni, percezioni, pensieri, sentimenti e emozioni che sgorgavano da ogni parte della mia essenza e che non potevano essere condivise se non in maniera “analogica”. Forse se avessi avuto la possibilità di potermi sedere accanto a qualcuno, guardarlo negli occhi e toccarlo, avrei potuto trasmettergli tutto quello che stavo vivendo, ma diversamente ogni tentativo si dimostrava inadeguato, inutile e insensato. Oppure come diceva de Saint-Exupery “L’essenziale è invisibile agli occhi” e quindi non sarei riuscita a comunicare quel mio sentire nemmeno se qualcuno fosse stato accanto a me?
Mi dispiaceva un po’ non riuscire a condividere quel momento che sentivo così importante nella mia vita con nessun altro, ma d’altra parte mi piaceva quello che provavo: sembrava come se tutte le mie parti interne riuscissero a dialogare tra loro senza bisogno delle parole, come forse non avevano mai fatto, e che con tutta me stessa riuscissi a essere soddisfatta anche se non trovavo le parole o spiegazioni per descriverlo o rappresentarmelo. Per una vita intera riuscire a esprimermi, a categorizzare, a esplicitare o enucleare concetti era stata l’unico modo possibile per esistere, adesso invece forse la mia esistenza era inserita in un flusso che non poteva essere interrotto e il divenire diventava l’unica soluzione.
E narrare il divenire non è immaginabile.