Un’altra giornata volgeva al tramonto. Mentre la luce filtrava sempre meno dalla finestra del soggiorno facevo il calcolo delle cose che ero effettivamente riuscita a fare in tutto il giorno. Il conteggio era molto breve, la lezione online, la spesa, il pranzo, due letture e niente più. Una giornata sprecata? Non volevo lamentarmi, e infatti non era per lamentarmi che mi facevo quella domanda, non stavo facendo molto per cambiare il mood di quei giorni, ma quella forse era soltanto la vita reale.
Nella vita vera non si enunciano pensieri profondi tutti i giorni o ci si intrattiene in attività edificanti; quasi sempre, invece, si fanno cose banali: si mangia, si dorme si dicono sciocchezze, si va a fare la spesa, si guarda un film. La vita qual è non è gonfia di retorica, né di grandi azioni, scorre nella sua semplicità e in quel flusso per me l’importante era vivere il momento così come semplicemente accadeva. Non mi giudicavo, non mi creavo aspettative o false speranze, non mi ripetevo quasi neanche più che il giorno successivo avrei fatto di meglio. Avrei ricominciato a studiare, a concentrarmi su un nuovo progetto che avevo in mente da qualche tempo, a fare gli esercizi, a muovermi in modo attivo e proficuo. Non ci pensavo neanche.
In uno dei film di Troisi in un dialogo tra i protagonisti le battute scambiate: <<Prendi la vita come viene!>> e <<Allora io la prendo come va?>> mi tornavano alla memoria; bisognava prendere quei giorni come andavano e non come venivano? Quale poteva essere la differenza tra farsi investire dalla vita o investirla?
Come viviamo ogni istante dell’esistenza forse fa’ la vera differenza tra sopravvivere e vivere. In quella quarantena ci lasciavamo sopravvivere oppure provavamo a continuare a vivere?
In una delle sue lettere alla sorella Pirandello diceva: <<In questo male della vita, ove la meta è un inganno sempre, ciò che importa è camminare, andare avanti>>. Ma mentre si procede in avanti, si cammina l’unica differenza, per me, diventava poter sentire quasi in ogni istante dove mi trovavo, in quale parte del cammino.
Ero in “un dentro”, in “un fuori”, ero attiva, riflessiva, passiva, inattiva? La domanda, però, non riguardava più il motivo per il quale mi trovavo in una di quelle dimensioni, ma concerneva la consapevolezza che tutto aveva un suo scopo, un significato importante e quell’accadere diventava fondamentale per stare nel “qui e ora”. Non confondevo però vivere il momento con il farsi dominare da qualcosa di incomprensibile, senza cioè pensare a ciò che potrebbe avvenire dopo o alle conseguenze. Invece, vivere nel qui e ora, significava che mentre continuavo a sapere e voler fare progetti per il futuro, in quel “momento”, che aveva una durata che non potevo controllare, ero totalmente consapevole di ciò che sentivo, ciò che mi spaventava e ciò che mi stava accadendo. E mentre vivevo quel momento di disagio, di apatia, forse noia, ero presente a me stessa e mi accoglievo. Non lottavo, né vivevo il conflitto di sempre tra ciò che facevo (o non facevo) e ciò che mi aspettavo o avrei dovuto fare.
E forse per questo mi sentivo serena.