Erano trascorsi solo due giorni da quando avevo deciso come impiegare il mio tempo nel modo migliore possibile, ma già all’esordio di quel giovedì la giornata si prospettava poco fruttuosa.
Mi ero svegliata tardi e avevo perso tempo tra colazione e altro, non riuscivo a sedermi a tavolino per iniziare a eseguire quello che avevo deciso sarebbe stato il mio lavoro durante la quarantena. Era un lavoro di concentrazione, studio, elaborazione, ricerca e prevedeva una certa predisposizione d’animo, che in quella mattinata uggiosa tardava a impossessarsi di me.
Il brutto tempo aveva da sempre su di me un impatto non indifferente, a lungo mi ero definita meteoropatica e spesso subendo l’ironia di tanti. Dopo anni avevo scoperto che esiste una vera e propria sindrome diagnosticata negli anni ’80, la SAD, e la mia certezza di soffrite di un disturbo conclamato si era confermato!
E così mi sentivo in quel giorno, affetta da apatia e inerzia non riuscivo a canalizzare le mie energie e non riuscivo a portare a termine nessuna attività. A accentuare quella poca voglia una serie di fattori esterni si erano affastellati: visite e telefonate interminabili, tanto che nel pomeriggio per evitare di perdere completamente la giornata mi ero dedicata totalmente a recuperare contatti attraverso il telefono: avevo chiamato un gran numero di persone e la giornata si era banalmente conclusa così.