Con un po’ di paura mi ero avventurata! L’orario, tarda mattinata non permetteva ancora di comprendere se il traffico fosse poco per l’ora o per altro. Mi ero fermata a fare delle fotocopie e nel negozio mentre la commessa mi restituiva il plico e il resto, il modo in cui quei gesti erano stati effettuati mi aveva dato una strana sensazione, il dubbio serpeggiava: l’appestato eri tu oppure dovevi aver paura di colui che avevi davanti? Quella percezione mi aveva ricordato lo stralcio di un saggio di Moravia e Pasolini durante un loro viaggio in India, quando raccontavano quasi quella stessa sensazione, erano colpiti dalle riverenze che venivano loro fatte, ma sempre effettuate a una certa distanza, in lontananza. Da quelle persone non riuscivano chiaramente a comprendere chi fosse da considerarsi il paria, erano loro o chi non osava avvicinarglisi?
Sul raccordo effettivamente si scorreva veloci e entrando all’EUR una macchina della polizia era accostata a una delle corsie laterali e non se ne capiva bene il motivo. Avevo trovato subito posto, e con C. oltre la terapia si era discusso della paura di stare entrando in un clima di dittatura, anche lei condivideva le mie riflessioni, finalmente uno spiraglio: qualcuno che come me riusciva a guardare il quadro nel complesso, senza focalizzarsi sul dettaglio. Anche dal chiropratico si era scherzato sull’uso dei guanti e su 1984 di Orwell, ma era un riso amaro quello che condividevamo, la preoccupazione delle implicazioni di quello che stava accadendo era forte, intensa: spaventava!
Sulla via del ritorno quell’atmosfera irreale di una città deserta che era un privilegio riuscire a godersi, accadeva ormai solo nelle settimane centrali di agosto, era avvolta di inquietudine. Serpeggiava nell’aria un clima che aveva ripercussioni in tutto il mio corpo e mi lasciava malinconica, triste, inquieta. Mi sembrava di vivere sospesa. Ormai nessuna certezza mi riusciva a dare un appiglio. Anche le idee della chat di amici che avevano organizzato un aperitivo su skype invece di rallegrarmi mi metteva ancora più ansia!
Sentivo che stavamo perdendo un altro pezzo importante nelle nostre esistenze. Quel contatto ravvicinato che spesso mi aveva infastidito, soprattutto con conoscenti e estranei, adesso quasi mi mancava, lo anelavo. Se da una parte quel virus ci faceva comprendere che tutti i confini che volevamo erigere nei confronti dei poveri del mondo erano pura utopia, dall’altra ci stava educando ad autoimporci quel confine per proteggerci da qualcosa che era invisibile, trasparente, impenetrabile e che comunque ci stava colpendo. Ledeva i diritti di camminare per strada senza uno scopo specifico e questo mi creava una grossa difficoltà, una complicazione inimmaginabile per la pigra e sedentaria pantofolaia che avevo sempre creduto di essere.
Se come diceva Celestini: <<Nel secolo scorso che è durato fino a qualche giorno fa ci siamo presi il lusso di starcene in vacanza>> nel nostro mondo dorato, adesso anche noi iniziavamo a sperimentare la paura del domani. Non più del futuro, ma dell’orizzonte delle poche ore seguenti!